Già l’illustrazione della copertina lascia presagire che si possa trovare un modo per superare gli ostacoli. A volte e con un po’ di fantasia.
E i muri all’inizio non sono presentati come una barriera: possono essere come lavagne, pareti da scalare, protezione dai pericoli; possono essere fatti di acqua o di persone che si danno la mano.
Ma “a volte un muro può mettersi nel mezzo”, ovvero fare da sbarramento agli altri, impedire il passaggio, tenere fuori. Dianne White, anche grazie al tratto delicato di Barroux, dà consistenza a questi muri: descrive di cosa sono fatti, quali gesti o azioni sono fatti per costruirli e abitarli, quali sentimenti prova chi si trova al di là e non ha accesso e di quali certezze si fa forte chi sta dentro.
Tutto sembra incentrarsi su un noi e un voi inavvicinabili, separati da pareti invalicabili tenute su da pilastri che nulla potrà sgretolare. E infatti il punto è che non è necessario abbattere i muri. Si possono tingere, si può aprire uno spiraglio grazie a un modo diverso di vedere le cose e di stare insieme. La curiosità, la creatività, il coraggio sono le armi che permettono di fare una crepa metaforica nel muro, in grado di ricucire e di segnare un nuovo inizio.
Non è il muro a separare, sono le scelte di chi sta al di qua e, a volte, anche al di là.
“A volte un muro” di Dianne White, illustrato da Barroux, Edizioni Clichy, con gentilezza apre le porte all’amicizia che fa vivere insieme le diversità e alla possibilità che, un mattone dopo l’altro, si costruisca qualcosa che dalle fondamenta non è si era immaginato.